L’osmosi inversa viene spesso trovata, per abitudine e per comodità, abbreviata nella formula RO, dalla sua versione inglese: Reverse Osmosis. O, in alcuni e più sporadici casi, viene indicata con il termine iperfiltrazione (anche abbreviato in IF, per attinenza con la terminologia inglese), in riferimento al processo di cui si avvale.

Qualunque sia il termine che intendiamo usare per indicare questo particolare sistema integrato, la sua efficacia si fonda, in breve, su un impianto così articolato: il liquido nella sua forma concentrata viene ridotto nella sua concentrazione per mezzo di una pressione esercitata con forza maggiore rispetto a quella osmotica. E questo diviene, a sua volta, possibile grazie allo sfruttamento di una membrana in grado di scindere le componenti contenute nel liquido e di garantire il passaggio solo ad alcune tra queste, debitamente selezionate.

Nel caso specifico dell’acqua di passaggio in un depuratore acqua domestico non si tratta solamente di apporre un ostacolo al liquido nel momento in cui viene sottoposto alla pressione necessaria. Ridurre l’intero sistema ad un concetto elementare di filtraggio significa privarlo della sua effettiva complessità sminuendo i passaggi e le tecniche che lo rendono possibile.

Sapete che la membrana semipermeabile di cui è costituito il sistema è in grado di isolare le particelle idrofile da quelle chimicamente meno affini all’acqua, in modo da applicare una selezione immediata tra le molecole che possono attraversarla e quelle che, al contrario, vengono trattenute dall’altra parte?

Questa separazione può avvenire, al momento della filtrazione, in due modi distinti. Per questo sistema specifico parliamo di filtrazione tangenziale.
Di che cosa si tratta? La filtrazione tangenziale non è altro che un metodo che prevede che il flusso d’acqua, od il fluido in generale, raggiunga la superficie del filtro scorrendo tangenzialmente ad essa. In questo modo è molto più semplice controllare il deposito residuo perché scivoli lungo la facciata del filtro anziché restare intrappolato tra le maglie dei suoi pori.
Un’alternativa a questo sistema di filtrazione è quella che prevede che il liquido impatti perpendicolarmente contro la superficie del filtro. Come si può immaginare, questa variante ha come effetto che il deposito venga trattenuto dalla parete porosa e spugnosa adibita appunto al confinamento degli elementi indesiderati.

Le membrane utilizzate nel processo di osmosi inversa del depuratore acqua domestico vengono soventemente prodotte in poliammide: questo materiale, versatile e facilmente reperibile, custodisce la capacità di rendersi impermeabile all’acqua ma non agli elementi inquinanti e contaminanti in essa contenuti.
Ogni membrana è poi suddivisa in pellicole minori e questo le conferisce l’abbreviazione di TFC o TFM (dall’inglese, ancora una volta: Thin Film Composite Membrane). Ognuna di queste membrane più piccole è altrettanto semipermeabile e, nel loro complesso, costituiscono un unico materiale più volte stratificato.
Il suo utilizzo, come vedremo, non è relegato alla sola depurazione (o purificazione) delle acque di passaggio nelle nostre case, ma anche in processi di ben più ampio respiro, come la desalinizzazione delle acque marine od il rifornimento degli apparati bellici.

Sistemi come il depuratore acqua domestico fanno affidamento su processi come l’osmosi inversa, la microfiltrazione, l’ultrafiltrazione e la nano filtrazione per assicurare che l’acqua che beviamo non contenga tracce di elementi considerati potenzialmente nocivi anche in concentrazioni ridotte. Possiamo portare ad esempio piombo, calcio, fosfati e veleni, elementi inquinanti e batteri.
Lo scopo è dunque quello di garantire che l’acqua raccolta dal rubinetto, per quanto già potabile possa essere, risulti privata di quelle sostanze che normalmente e quotidianamente si riversano nell’acqua attraverso l’impianto idrico, l’ambiente in cui esso viene inserito, i fattori inquinanti a cui è sottoposto e tutte le varie ed eventuali contaminazioni prodotte dalle tubature stesse di scorrimento.

L’acqua così prodotta, che per praticità chiamiamo osmotizzata, ci garantisce dunque una presenza quasi inconsistente di residui nocivi e di residui fissi. Questi ultimi, tuttavia, possono ancora essere regolati laddove al processo di osmosi inversa venga affiancato un processo di microfiltrazione.
Sempre l’acqua osmotizzata, proprio grazie al funzionamento del depuratore acqua domestico, si presenta notevolmente ridotta nel suo apporto di nitrati al punto da rendere l’intero sistema un perfetto accompagnamento alle apparecchiature di cui dotiamo le nostre case.

Nell’osmosi inversa, contrariamente a quel che potrebbe sembrare, non c’è nulla di innaturale. Il nostro corpo riconosce il procedimento osmotico come fondamento del meccanismo adibito al metabolismo cellulare. Ogni cellula, infatti, si compone di diverse membrane con funzioni specifiche, caratteristiche speciali che le conferiscono la possibilità di selezionare accuratamente quali componenti possano attraversarla e quali no. E questo, a sua volta, permette alla cellula di regolare l’attività al suo interno ostacolando preventivamente tutto quel che potrebbe determinarne un malfunzionamento.

La membrana semipermeabile, nel nostro specifico caso, è quella che si fa carico dell’onere di scindere l’acqua dalle sostanze in essa contenute perché il liquido prodotto dal depuratore acqua domestico sia perfettamente sano, leggero e libero da qualsivoglia impurità.

Ma, allora, perché “inversa”?

Proviamo ad immaginare un caso specifico. Prendiamo un contenitore, poniamo al suo centro una membrana semipermeabile identica a quella contenuta nel nostro depuratore acqua domestico e poi procediamo a riempire il contenitore. Versiamo da una parte una soluzione di acqua concentrata, e dall’altra una soluzione di acqua diluita.
Il processo osmotico così come viene rappresentato nel nostro corpo induce il liquido diluito, proprio per la sua consistenza ridotta, ad attraversare la barriera costituita dalla parete spugnosa e porosa della membrana per mescolarsi a quello concentrato sul versante opposto. Questo processo tende a proseguire fino a quando la pressione del liquido non diviene sufficiente a contrastare un’ulteriore contaminazione: a questo punto le due sostanze sono opportunamente controllate da quella che chiamiamo pressione osmotica.
Per concludere il nostro esperimento non serve che un piccolo accorgimento.

 

 

Adesso proviamo ad applicare sul liquido concentrato la pressione necessaria ad indurre l’acqua a fare ritorno al suo precedente settore. Nel momento in cui la vediamo riversarsi dall’altra parte, lasciandosi alle spalle tutti gli elementi contaminanti raccolti durante il processo osmotico, abbiamo raggiunto il nostro scopo: abbiamo provocato l’osmosi inversa.
Ovvero, abbiamo invertito il processo osmotico costringendo l’acqua, normalmente attirata attraverso la barriera costituita dalla membrana all’interno del liquido maggiormente concentrato, a rivendicare il proprio spazio e, con quello, uno stato di completa purezza.

In questo caso il perfetto equilibrio raggiunto dai due liquidi di diversa concentrazione al momento della generazione della pressione osmotica viene annullato proprio dalla capacità della membrana di fare in modo che gli elementi solidi disciolti nella soluzione concentrata non passino dall’altra parte assieme all’acqua diluita, nel momento in cui viene esercitata la pressione.